sabato 15 dicembre 2012

Errare Humanum Sud


"Don Chisciotte non ha paura; si offre all'incertezza del vivere, che gli porta disastri, legnate, porcherie, umiliazioni. Ma egli non ha fede nella vita, che non sa quel che fa, bensì nei libri, che dicono non la vita ma ciò che le da senso, le sue insegne. Per queste insegne egli si batte e viene quasi sempre ridicolmente battuto, perché quasi sempre il bene perde e il male vince. Ma nemmeno disarcionato egli dubita di quelle insegne. Argamasilla è la patria del baccelliere Sansone Carrasco che l'atterra, ma don Chisciotte atterrato afferma che la propria debolezza non compromette la verità di ciò in cui egli crede"


                  L'infinito Viaggiare. Claudio Magris





La leggenda narra che, da Argamasilla de Alba, un'indefinita località della Mancia, sia partito per le sue rocambolesche avventure, Don Chisciotte. Ma non si è certi e forse il punto esatto deve rimanere celato, perché non altera il fascino della storia dell'eroe creato da Manuel de Cervantes, così come indefinibili ed irrintracciabili sono le origini delle figure protagoniste delle opere di Marcello Buffa.
Se, nella vita, si va incontro a ciò che capita, con la leggerezza e la determinazione di Don Chisciotte, può capitare di fare incontri particolari, vivere esperienze perturbanti o meravigliose e ricevere inattese sorprese. Tutto ciò, diventa una parte integrante ed inscindibile dalla nostra esistenza. Un bagaglio che sopravvive nella nostra memoria.
I viaggiatore spesso sentono la necessità di raccogliere e condividere le loro vicissitudine, anche Buffa ha la stessa urgenza, e lo fa attraverso l'uso della pittura. Cristallizzato in un unico volto, ci svela le molteplici trame di differenti identità che ha incontrato realmente o solo nelle sua immaginazione.
Procedendo così con un meccanismo psicologico simile a quello dei sogni o dei ricordi infantili, dove realtà e immaginazione si fondono, Marcello Buffa sovrappone figure di amici e conoscenti ad immagini tratte dalle riviste o da internet, mescolandone i lineamenti, stravolgendone i tratti somatici, le loro storie si fondono in un unico racconto visivo, dando vita ad un'altra identità pittorica. Ibrida, aliena, primigenia.
L'ingegneria genetica, le biotecnologie, la chirurgia plastica, alterano e modificano quotidianamente i volti e i corpi, così anche i personaggi delle tele di Marcello Buffa, mettono in discussione la nostra identità; non c'è più confine tra giovane od anziano, uomo o donna, non esiste classe sociale od etnia, tutto viene azzerato, ridistribuito, rigenerato.
In un' atmosfera sospesa gli ambigui volti di Marcello Buffa ci scrutano con i loro sguardi profondi e sembrano interrogarci, come desiderosi di sapere la loro genesi, il loro passato, la loro nuova realtà, ma ci insidiano anche un dubbio e ci fanno fermare a riflettere sui nostri destini.

  
Marcello Buffa, Il Vago di OZ, olio su tela, cm 130 x 100


Abbandonarsi alla vita, come fece Don Chisciotte lasciandosi guidare dal suo fidato e malandato cavallo, Ronzinante, non è una libertà per tutti.
“Prendere quel che viene”, come si usa dire è un lusso che si possono concedere solo i folli, i bambini ed gli artisti, che con la loro creatività si muovono liberi dai vincoli della quotidianità, dai doveri della logica, dalle costrizioni delle regole.
Svincolati dal reale, gli artisti hanno però il dovere di restituirci con le loro opere, nuovi luoghi sconosciuti da abitare, personaggi fantastici da conoscere, nuove emozioni da esplorare.
Solo di una cosa, non possono essere capaci: riportare in vita chi non c'è più.
Non potendo fare ciò Cesare Inzerillo, si è inventato una morte per i protagonisti delle sue opere. Un' inconfondibile ironia sarcastica e un po' sadica, caratterizza il suo lavoro, i suoi personaggi, sono fissati nell'immobilità della morte che, sopraggiunta all'improvviso gli ha strappati alla vita. I suoi scheletri e mummie, realizzati con una tecnica minuziosa in cui niente è lasciato al caso ed incompiuto, sono vestiti ed atteggiati come quando erano in vita.
Il classico della storia dell'arte “ il memento mori” con Inzerillo subisce un ribaltamento semantico, le sue figure, corrose e deturpate invece che farci soffermare sulla caducità della vita ci strappano un sorriso, ironizzano e esorcizzano la paura ancestrale per antonomasia.
Le creature di Cesare Inzerillo sono una sorta di combinazione fra le mummie dei esposte nelle catacomba del convento dei Cappuccini di Palermo e l'eredità del teatro popolare dell'opera dei Pupi, e se quest' ultimi narravano al popolo le gesta eroiche dei paladini di Carlo Magno in guerra contro i Saraceni, le sculture di Inzerillo si prendono gioco delle dissolutezze e dei visi di alcuni personaggi troppo ambiziosi.
Se nei volti di Marcello Buffa non esiste gerarchia sociale, per Cesare Inzerillo é l'aldilà ad annullare le differenze.

  
Cesare Inzerillo, i gemelli sei mesi, materiali vari, h. cm 29


La pianura della Mancia, dalla quale s’avvia la narrazione delle vicissitudini del romantico Hidalgo, sembra senza confini come il deserto, infinita come le strade che si aprono nella nostra vita. Qualsiasi viaggio, anche il più banale e quotidiano si sottrae alla logica ed al nostro controllo e non può essere interamente pianificato poiché non sappiamo cosa ci aspetta dietro l’angolo, se un imprevisto ci farà cambiare improvvisamente rotta.
C’è una stretta connessione tra l’idea del viaggio e le opere di Fabio Sciortino; pittura e viaggio significano sempre separarsi da qualcosa, allontanarsi dalla realtà conosciuta per lasciarsi andare a nuove conoscenze, nuove immagini, nuove idee.Vari sono i paesaggi come vari sono i modi di viaggiare, ma fondamentale non è mai la meta che ci si è prefissati di raggiungere, ma l’esperienza insita nel viaggiare. Ci racconta questo la pittura sofisticata di Sciortino, che mediando con la luce, quasi con un timore di offenderla, ci conduce in atmosfere sospese. Immagini rarefatte che raccontano di luoghi indefiniti e lontani come i ricordi sfuocati del ritorno a casa dopo un lungo viaggio. Pittura che diventa narrazione, perché traduce in pittura emozioni, riflessioni, esperienze vissute, sfumate dal tempo e dalla stratificazioni delle memoria. Fabio Sciortino cerca di restituirci con le sue opere i tanti paesaggi che ci si propongono ai nostri occhi, dai più noti e familiari, a quelli sconosciuti. Viaggio che diventa pittura e che a sua volta diviene ricerca, possibilità per un maggior possesso del presente, svelamento della precarietà degli schemi, libertà di svelare se stessi agli altri.

Valeria Pardini




Fabio Sciortino, Vado, china e varechina su carta incollata su tavola, cm 30 x 30



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